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Disgrace of blood

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Disgrace of blood:
Quanto sei disposto a sacrificare per il Cambiamento?
Anno 28 Fine Cristo

Una misteriosa valigetta dà inizio a una sequenza di eventi pronta a precipitare nella disgrazia.
Il disonore del sangue sta per abbattersi sugli ignari protagonisti, alla ricerca del leggendario Cavalca Confini, l’unico Runner in grado di dare inizio al Cambiamento.
La serie Lost Days è composta da racconti che esplorano i retroscena e i personaggi del nuovo romanzo fantasy di Andrea R: Claus.

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Episodio 1 – La valigetta

Gregory si sporse oltre lo spigolo dove si era appostato per osservare il viale. L’oscurità aveva aiutato fino a quel punto i suoi spostamenti, prima di essere divelta dai fari di un mezzo pesante. La velocità con la quale si era nascosto non lo faceva sentire al sicuro, il terrore di essere stato visto dal gruppo di persone armato che stava scendendo dal veicolo condusse il petto in un battito furioso.
Osservò gli uomini poco distanti dirigersi verso un palazzo dall’altro lato della strada, la loro disposizione e le armi pronte a combattere erano il preludio di uno scontro che stava per iniziare.
Al primo piano dell’edificio le luci di un appartamento si erano spente mentre l’auto accostava, nell’ombra era riuscito a scorgere dei movimenti. Rimase immobile fino a quando la notte non fu squarciata da alcuni colpi d’arma da fuoco e rapidamente scivolò oltre il nascondiglio.
Piegandosi il più possibile lungo il tragitto, rallentò solo in prossimità di coperture che gli permisero di sbirciare ancora. Improvvisamente le armi smisero di sparare e fece una sosta, doveva assicurarsi che la strada fosse ancora sgombra. Prese fiato e si asciugò la fronte grondante.
Le urla dei contendenti invasero l’aria: qualcuno aveva appena ordinato la resa, nessuno sparò confermando che il conflitto era terminato.
Affrettò il passo e sbirciò un piccolo biglietto che stringeva nella mano contenente le indicazioni per trovare il posto in cui doveva dirigersi, stropicciato e pieno di sudore stava diventando quasi illeggibile. Svoltò giungendo in un vicolo stretto, intanto alle spalle sentì sparare ancora: una lunga sequenza di colpi e poi il silenzio.

Un’esecuzione.

Il tempo a disposizione per muoversi era diminuito drasticamente; si avvicinò a un piccolo portone di metallo dall’aspetto minaccioso: alcuni fori di proiettile lo avevano squarciato in diversi punti e la maniglia era stata stretta da una mano insanguinata, lasciandola storta.
Con un gesto delicato la mosse e il cigolio dei cardini scatenò qualcosa di simile a una tempesta, attraversò lo stretto passaggio che si era procurato per poi spingere delicatamente la porta indietro.
La stanza dove si trovava era totalmente vacante, le pareti che lo circondavano erano state tinteggiate da poche ore, lasciando un fortissimo odore nell’aria. L’evidente contrasto con l’esterno dimostrava che qualcuno aveva cancellato le tracce di una carneficina con molta cura.

Osservò il corridoio che doveva percorrere e speditamente raggiunse una scala dall’altro lato dell’appartamento, si mise contro il muro per controllare le quattro rampe superiori. Sembrava fossero libere.
Per alcuni istanti rimase totalmente immobile in cerca di qualche rumore che lo potesse avvertire di eventuali pericoli che avrebbe potuto incontrare. La quiete gli suggerì di essere al sicuro, ma ciò nonostante non riuscì a sentirsi sereno; decise di salire rimanendo in allerta.
Ogni passo era lento, frequentemente si fermava di colpo per assicurarsi che la situazione nei piani superiori non fosse cambiata. Estrasse una Colt .45 dalla fondina vicino al petto e la osservò titubante, non aveva mai provato l’arma. Non aveva mai sparato con un’arma in vita sua.
Continuò a salire fino al secondo piano e al termine della rampa s’inginocchiò dietro lo spigolo della parete vicina, con rapide occhiate scandagliò la stanza che doveva attraversare una volta abbandonato il riparo. Certo di avere via libera, lasciò fuggire un sospiro di sollievo.

Si allontanò dalle scale tenendo la pistola puntata davanti a sé, la stanza indicata dalle istruzioni era a pochi metri da lui e con calma la raggiunse. La porta spalancata stimolò tutta l’agitazione che aveva cercato di trattenere, riuscì a sentire il sangue pulsare dentro ogni vena, superò l’uscio deciso a non cedere alla tentazione di tornare indietro.
Tutti i mobili presenti erano stati coperti con dei teli spessi, tranne un piccolo tavolo posto di fronte a una finestra.
Strinse le dita contro l’impugnatura della Colt e avanzò per raggiungere l’affaccio, una valigetta poggiata per terra attirò la sua attenzione. La scocca era composta da metallo spesso e una chiusura nera con dei numeri in rilievo, indicava la necessità di combinazione per aprirla.
«Signor Gregory» disse una voce alle sue spalle.
Si voltò di scatto puntando l’arma verso l’entrata, ma non vide nessuno.
«Questa non è necessaria» aggiunse la voce di prima poco distante dal suo viso.
Una mano pallida gli aveva afferrato il polso con forza, nonostante l’aspetto esile la presa salda avrebbe potuto spezzargli facilmente il braccio. Il resto del corpo era rimasto nascosto nell’oscurità.
«Mi ha fatto prendere un colpo» commentò Gregory rilassando i muscoli.
«Non si preoccupi» rispose l’altro. La sua voce era fredda e non lasciava percepire nessuna emozione, rendendo più cupa la sua presenza.
«È stato difficile arrivare fin qui» spiegò Gregory preoccupato. Con un cenno del capo cercò di fargli intendere che aspettava di essere liberato.
«Lo immagino.» L’uomo mostrò appena il viso, sottile e pallido sorrideva forzatamente. «Lasci a me la pistola.»
«Certamente» rispose permettendogli di sfilarla via.
Abbandonò la presa e si mise seduto sopra il piccolo tavolo.
Gregory finalmente riuscì a vederlo per intero: un corpo dall’aspetto gracile era totalmente coperto da un lungo spolverino nero. Gli unici scorci visibili erano le mani e il viso, il cui pallore gli dava una foggia quasi distorta.
L’uomo fece penzolare il braccio rapidamente verso il pavimento, afferrando la valigetta e portandola sopra le proprie gambe.
«È questo il carico?» chiese Gregory quasi balbettando.
«I vostri amici vogliono il contenuto» rispose l’altro sorridendo artificiosamente.
Inserì il codice lasciando scattare il coperchio verso l’alto e fece per mostrare il contenuto al suo interlocutore, pronto a studiare la sua espressione.
«Non voglio sapere cosa contiene!» esclamò fermandolo. «Servirà al Cambiamento, mi basta sapere questo» commentò Gregory carico di trepidazione nel tono.
«Ne sono certo mio caro.» Cercò di sembrare rassicurante, ma non fu in grado di simulare nessuna emozione.
Gregory sorrise avvertendo una sensazione sgradevole lungo la schiena, qualcosa in quel tono lo mise a disagio, facendogli desiderare di allontanarsi il prima possibile.
«Questo è il vostro pagamento» disse Gregory cordiale mentre porgeva una busta ricolma.
«Molto bene» sussurrò afferrandola in fretta. La fece scivolare dentro la giacca.
«Non controlla il denaro?» chiese sorpreso.
«Non si preoccupi» disse distrattamente. Si alzò e si diresse verso la porta. «Se dovesse esserci un errore, farò in modo che lei possa ravvedersi.»
Un brivido violento scosse tutto il corpo di Gregory rendendogli difficile reggersi in piedi.
Lo sguardo dell’altro studiò con interesse la reazione che aveva causato, lo osservò mentre poggiava le braccia all’indietro sulla scrivania per sorreggersi.
Gregory urtò la pistola che gli era stata requisita, abbandonata sulla superficie ruvida.
«Di questi tempi è difficile portare avanti affari pericolosi» commentò l’uomo soffermandosi a pochi passi dall’uscita. «Come pensate di farla arrivare in America?»
«Stiamo cercando il Cavalca Confini» rispose Gregory quasi orgoglioso.
L’altro si voltò di scatto e qualcosa di sinistro apparve nel suo sguardo, commentò con un sussurro: «Molto bene» abbandonando lo spettro inemotivo che aveva sostenuto per tutto il tempo, per pochi istanti sembrò gioire.
Prima che Gregory potesse rispondere il suo interlocutore era scomparso oltre l’oscurità senza emettere alcun suono. Rimase qualche secondo pietrificato e poi prese l’arma e la valigetta, uscendo dalla stanza anche lui.
Percorse nuovamente la strada che aveva fatto, un turbine di pensieri lo stava attanagliando rendendogli difficile mantenere la concentrazione, in lontananza non scorse nessuno e rassicurato dal fatto che il gruppo armato fosse andato via accelerò il passo.
Quasi istintivamente si mise a correre e svoltò verso una strada isolata, durante il tragitto teneva la valigetta stretta sotto al cappotto, il cui spessore risultava occultato malamente.

Raggiunse un largo pozzo di metallo nell’asfalto e si mise in ginocchio, prese dalla tasca dei pantaloni una piccola chiave e con un rapido movimento del capo controllò i lati della strada prima di far ruotare la serratura. Lo sportello era più pesante di quanto lui potesse sperare, con difficoltà lo sollevò. Concesse alla propria ansia un’ultima ispezione della strada prima di scendere dalla scala.
Dopo pochi gradini, puntellandosi con i piedi per non perdere l’equilibrio, si sporse verso la maniglia interna del coperchio e lo richiuse. Lo sforzo gli causò dolori lungo le braccia e per un attimo gli sembrò che i fianchi stessero per strapparsi. Il dover tenere stretta a sé la valigetta per non farla cadere risultò maggiormente stancante e in più di un’occasione rischiò di scivolare.
Discese verso il basso raggiungendo le fogne, felice di aver poggiato finalmente i piedi a terra, prese la valigetta dalla maniglia e con la mano libera colpì un piccolo tubo vicino: picchettò tre volte e rimase in attesa.
Dalla profondità della galleria un’altra tubatura vibrò in risposta, con la stessa sequenza.
«Eliza ci siamo riusciti» commentò lui soddisfatto intanto che avanzava nella galleria.
«Gregory» disse la voce di una donna poco distante. Preoccupata lo raggiunse quasi correndo. «Cosa è successo? Ho sentito degli spari.»
«Non ti preoccupare, non mi ha visto nessuno» rispose l’uomo rassicurante.
«A chi stavano sparando?» chiese poco convinta.
La sottile bocca tremava dal freddo, animando sottili nuvole di condensa, i larghi occhi azzurri studiarono l’aspetto di Gregory in cerca di lesioni.
«A quanto pare è vero: i Signori delle Città stanno cercando dei Runner fuggitivi. Dentro il villaggio c’è stata una sparatoria.»
La donna non sembrò convinta dalla sua spiegazione «Come fai a dire che erano proprio dei Runner?»
«Ne sono sicuro, è da diversi giorni che continuano questi scontri. Meglio così, sono tutti concentrati su questa storia, dandoci modo di agire indisturbati.»
«Samuel ci aspetta, il rifugio è appena fuori dal villaggio» disse Eliza sospirando.
«Ti ricordo che non devo sapere dove andrete.»
Iniziarono a percorrere il tunnel, muovendosi vicini.
«Gregory» borbottò lei cercando di scegliere le parole giuste. «Tutto questo è pericoloso.»
«Non devi preoccuparti.»
«Perché stai rischiando così tanto? Sei un Cittadino di primo grado, potresti perdere tutto quanto.»
«Lo faccio perché posso farlo, ho i soldi necessari a sostenere tutto questo. Per favore, fidati di me.»
«Potremmo condurre una vita senza problemi, senza timori. Non riesco a capirti.»
«In America sta iniziando qualcosa di importante. Il Cambiamento è tutto quello che abbiamo sempre desiderato, fin dal primo giorno in cui è iniziato il Regno.»
«Eri troppo piccolo per ricordarlo, come puoi essere certo che sia giusto?»
Erano giunti di fronte una enorme cisterna, poco distante una scaletta portava nuovamente in superficie.
«Eliza, pensaci bene. Tutto quello che è successo è ingiusto, come può da così tanta morte nascere un mondo perfetto?»
Mentre parlava aveva messo il piede sul primo gradino «Andrà tutto bene» disse prima di proseguire.
«Mi fido di te» sussurrò Eliza aspettando che si liberasse lo spazio per seguirlo.
Gregory salì lentamente, la valigetta sotto il braccio lo costringeva a movimenti goffi e instabili, dal primo fino all’ultimo gradino rischiò di scivolare continuamente. Giunto in prossimità dell’uscita mise la piccola chiave nella serratura con difficoltà.
Spinse il coperchio verso l’alto ma il peso del metallo sembrò nullo, si spalancò di colpo e Gregory sussultò.
La luce di una torcia elettrica lo aveva travolto senza preavviso destabilizzando la sua posizione, prontamente lasciò cadere la valigetta verso Eliza, che aveva percorso soltanto qualche gradino.
All’esterno una voce furiosa aveva appena dato un ordine: «Prendetelo.»
Gregory fu afferrato e tirato fuori, in pochi istanti si trovò all’esterno, circondato da cinque persone armate. Cercò di divincolarsi dalla presa e con un calcio spinse il coperchio della botola chiudendola violentemente.
L’uomo che lo aveva agguantato strinse maggiormente la presa per immobilizzarlo, sotto lo sguardo di rimprovero degli altri: l’azione di Gregory aveva quasi travolto uno di loro intento a esaminare la botola.
«Cosa state facendo? Lasciatemi» urlò con rabbia cercando di liberarsi.
Uno degli aggressori si avvicinò rapidamente, con il calcio dell’arma lo colpì allo stomaco per poi sventolargli sotto il naso la canna, pronta a far fuoco.
«Lasciatemi andare» implorò Gregory respirando a fatica.
«Silenzio» urlò un altro afferrandolo per la il maglione. Lo spinse per terra con forza, liberandolo dalla presa del compagno. «Cosa ci facevi lì sotto?» Tuonò mentre gli assestava un calcio nello stomaco.
«Stavo scappando, c’è stata una sparatoria» raccontò sputando sangue.
Vide che il resto del gruppo era chino sopra lo sportello, in pochi istanti lo avrebbero aperto trovando Eliza. La sua mano scivolò dietro la schiena e, mentre veniva colpito ancora, fece uno scatto rapido con il braccio verso il soldato inginocchiato vicino al bordo della botola. Gli uomini sussultarono alla vista di un cilindro metallico lanciato nella loro direzione, prima che potessero reagire un potente boato anticipò una gigantesca esplosione luminosa. I timpani di tutti i presenti furono travolti dall’onda d’urto, vibrando violentemente e alcuni di loro strinsero il capo fra le mani doloranti.

Gregory ancora accecato si mise in piedi e barcollando cercò di allontanarsi, nella sua testa risuonava ancora un terribile ronzio, non riuscì a percorrere nemmeno un metro prima di finire con la faccia contro l’asfalto, la caduta gli spaccò il labbro e riempì la bocca di sangue.
Cercò di rotolare disperatamente, come se potesse fuggire in quel modo.
Lontananza qualcuno stava urlando: «Era una Flash bang, figlio di puttana.»
Poggiò la mano per terra nel tentativo di rialzarsi, con l’obiettivo di farsi inseguire per allontanarli da Eliza. Era pronto a lanciarsi alla cieca fra i vicoli, ma una mano pesante avvolta da un tirapugni gli fracassò la faccia.

Finì per terra senza riuscire a reagire e l’oscurità beffarda lo circondò.

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